Grace Prince è una designer di mobili e ricercatrice con sede a Zurigo. Dopo essersi laureata alla Central Saint Martins di Londra, ha maturato esperienze in falegnameria, intaglio del marmo e set design, lavorando infine come assistente designer per Vincenzo de Cotiis a Milano. Nel 2022 ha esposto in 5VIE le sue due prime collezioni autoprodotte. La mostra, dal titolo "Entropy and Desire", era un'ode all'impermanenza e alla fragilità, nella cornice piena di fascino di un negozio dismesso.
L’entropia del titolo della mostra è la misura del caos che possiamo controllare con il progetto, ma fino a che punto lasci che sia l’entropia a creare? a cosa si riferisce invece il desiderio?
Desiderio perché ritengo che il nostro istinto umano sia spesso orientato verso il caos entropico. Per me ha molto a che fare con la nostalgia infantile della rovina. Da bambina mi piaceva smontare gli oggetti e riassemblarli. Sento che c'è della poesia dietro a tutto questo: per capire davvero i materiali bisogna guardare alla loro distruzione. Ma quello che per me è fondamentale è di non usare [nei miei lavori] oggetti trovati, perché questo significherebbe non avere abbastanza controllo sul risultato, e questo in qualche modo pre-determinerebbe la sensazione che dovrei evocare. Il mio obiettivo è creare dal nuovo.
Dal 2020 hai sviluppato due collezioni di oggetti: Unsettled Balance e Static Fragility. Quali sono i prossimi step? Che temi svilupperai nel prossimo futuro?
Attualmente sto lavorando alla mia collezione 2023, che ricerca la sensazione di una "linea spostata". Non so se questo sarà il titolo finale, ma è il concetto che sta influenzando la ricerca e lo sviluppo dei pezzi. Per questa collezione voglio lavorare su una scala più ampia, quindi sto costruendo un divisorio e una panca, e alcuni oggetti più piccoli.
Il tuo processo creativo è molto interessante, perché il risultato è un assemblaggio che sembra casuale, ma che in realtà nasconde una progettazione lunga e meticolosa. Il tuo metodo crea una cerniera tra la naturalezza del gesto artistico e la replicabilità intrinseca nella disciplina del design. Come è nato e come hai sviluppato questo approccio? Ancora una volta, sembra che si tratti di una questione di equilibrio?
Questo approccio è iniziato facendo dei collage, ma dopo un po’ sono diventata curiosa di vedere come potevano risultare e apparire questi collage se li avessi trasformati in opere reali. Ogni pezzo parte da un collage in 2D, per poi passare al 3D attraverso un lento processo sensoriale di leggera giustapposizione di forme e materiali, facendo sempre riferimento alla sensazione scoperta per la prima volta nel collage.
Sei nata e hai studiato a Londra, insegni a Zurigo, hai lo studio a Milano… tre città con tre anime diverse che in qualche modo devono convivere. Sembra che anche la tua vita risuoni del tema dell’equilibrio, che è sotteso a tutta la tua ricerca progettuale. Credi ci sia una effettiva connessione tra la tua poetica e la tua esperienza biografica?
Non l’avevo mai vista in questa luce, ma mi piace il collegamento. Sì, non mi è mai piaciuto fermarmi troppo a lungo in un posto. Se c’è la possibilità, penso che sia bello continuare a muoversi. Il lato negativo è che bisogna essere estremamente organizzati, ma il lato positivo è che si ampliano costantemente le proprie idee, soprattutto parlando con persone che si confrontano con il tuo lavoro in modo sempre diverso.