Sei qui: Colonne di San Lorenzo
Art+Design
5vie event
eventi digitali
Info
Gli Street Artists devono rimanere anonimi. Non è una strategia artistica di successo, ma una necessità che nasce in relazione alle leggi proibizioniste di un'espressione, generalmente pittorica, che vede l'occupazione di spazi pubblici e privati senza l'autorizzazione dei proprietari. È per questo motivo che è nato lo pseudonimo: il tag. Dopo tanti anni dalla nascita dei graffiti metropolitani siamo giunti alla consapevolezza che questo tipo di necessità è legata anche al riscatto sociale: questi ragazzi newyorkesi, figli di emigranti, che probabilmente avevano difficoltà a realizzarsi di giorno, di notte (indossando un costume diverso, come in una "seconda vita") sono diventati supereroi con il dono dell'ubiquità.
Il "caso Banksy", invece, è diverso. La scelta di rimanere anonimo non è dettata semplicemente dal rischio di essere arrestato a causa di azioni illegali, ma da un'operazione concettuale che accompagna costantemente la sua attività artistica, un gesto altruistico che in questo caso l'autore compie verso la comunità a cui dà un'esperienza estetica pura, libera da informazioni documentarie o curricolari. Una piccola rivoluzione nel campo dell'espressione culturale fatta in un contesto underground.
Oserei ipotizzare una sorta di distinzione: il graffito non è altro che il nome dell'autore ripetuto fino alla nausea come in una pubblicità di un "vandalo fantasma", che invade la vita delle persone senza preoccuparsi di creare un rapporto con esse; mentre nell'arte di strada l'autore "scompare" per fare spazio all'opera e ai potenziali legami che può creare con chi entra in contatto con essa.
Si crea così un corto circuito espositivo, in un luogo casuale, dove rimane solo un rapporto tra l'opera e il pubblico. Una nuova esperienza visiva che apre nuovi valori di acquisizione. Il pubblico è consapevole di non essere all'interno di un luogo dedicato all'arte e si trova di fronte a un'immagine che può essere stata dipinta o incollata da chiunque (chissà, forse è il figlio del mio vicino!). Questo approccio porta a percepire l'azione di Banksy e tutta la street art come un'espressione popolare, una voce della gente; come se quelle migliaia di frasi portate dai topolini, che hanno invaso Londra tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila, non fossero altro che i pensieri delle persone che si materializzano.
Il lavoro di Banksy è costellato di immagini che tutti noi potremmo fare, solo che lui le ha rese concrete: il suo successo sta nel fatto che queste immagini sono strettamente legate e contestualizzate ai tempi in cui sono state realizzate; non sono immagini autoreferenziali (dei classici graffiti), ma una grande cronaca visiva che esce dai giornali o dalle cronache e invade le città.
Le strade di tutto il mondo si sono riempite di fatti di interesse pubblico, al passo con le manifestazioni per il G8 di Seattle o Genova. Il desiderio di sfidare ciò che non ci sta bene prende forma attraverso l'azione di un piccolo numero di autori anonimi che a volte marciano in piazza cantando slogan (contro la capitale) e a volte riempiono i muri della città. Penso al dimostrante che lancia un mazzo di fiori al posto di una bomba a benzina. Infine il successo di Banksy (e dell'arte di strada) è stato amplificato anche da internet e dalla possibilità di condividere le immagini che la rete ci ha fornito.
La piazza diventa anche virtuale e l'utente diventa un autore che attraverso i propri canali può far proprie le immagini che ha visto e fotografato, rielaborandole e utilizzandole a suo piacimento. Ancora di più l'autore scompare e l'arte di strada diventa un repertorio di immagini, mettendo sullo stesso piano autore, opera e utente: un'autentica operazione culturale pubblica.
In questo caso Banksy potrebbe anche non esistere.