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  • Redazione 5VIE 
    02 July 2020 alle 13:50

    Di più con meno: la casa più visionaria del mondo e la lezione di Buckminister Fuller

    Architetto, designer, filosofo, inventore e scienziato, eppure lui non si definiva in nessuno di questi modi. Lui cercava solo soluzioni più sostenibili per gli abitanti del Pianeta.

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    Tutta la sua esistenza è stata animata da un solo desiderio: quello di ripensare radicalmente il modo in cui gli abitanti del Pianeta ("Astronave Terra") gestiscono le risorse umane e materiali a loro disposizione.

    Buckminster Fuller ha ottenuto, nella sua vita, 27 brevetti, 47 dottorati onorari, ed è stato autore di 27 volumi, oltre ad aver vinto il premio Nobel per la pace nel 1969. Una figura complessa ed esplosiva, la cui forza era l’autonomia totale di pensiero e la libertà rispetto agli schemi precostituiti, uniti all’altruismo e alla generosità verso il genere umano, che hanno informato tutte le sue invenzioni. 

    Nato in Massachusetts nel 1895, studiò alla Milton Academy e in seguito ad Harvard, ma fu espulso due volte dalla prestigiosa università - per aver dato spettacolo davanti ad un intero corpo di ballo e successivamente per la sua "irresponsabile mancanza di interesse". Perchè non era il sapere accademico ad appassionare Bucky, bensì quello che si può imparare da autodidatti osservando l’universo e le leggi della natura.

    Proprio da queste osservazioni è nata la sua cupola geodetica, un modello architettonico estremamente leggero e capace di sostenersi da solo perchè basato sul principio della massimizzazione del risultato attraverso la minimizzazione delle risorse. Una cupola geodetica è una sorta di fenomeno naturale, e di questi possiede la semplicità e la stabilità. In scala modesta, “si potrebbe immaginare di stampare un giorno delle cupole allo stesso modo in cui si stampa un giornale”. Fin da subito il Governo americano capì il valore di questo progetto, e assunse Fuller per costruire cupole per gli accampamenti dell'esercito; in pochi anni ne vennero erette migliaia, e la struttura è utilizzata ancora oggi per costruire edifici leggeri ma imponenti, come il padiglione (realizzato in cartone) degli Stati Uniti alla Triennale di Milano del 1954.


    Richard Buckminster Fuller, cupola geodetica per la Triennale di Milano, 1954. In Domus 299, ottobre 1954


    Altre invenzioni notevoli di Bucky furono un sistema di rappresentazione cartografica con cui riportare tutte le aree del mondo senza significative distorsioni; bagni prefabbricati a stampo; città tetragonali galleggianti; fattorie sottomarine incluse in cupole geodetiche; alloggi di carta; la famosa Dymaxion (DYnamic MAXimum tensION) car, la prima auto streamlined, efficiente e aerodinamica; ma soprattutto la Dymaxion House, la sua visionaria “macchina abitativa”.



    Oggi si parla di architettura open source, di case accessibili per tutti, ma la maggior parte dei  progetti nati in quest’ottica, standardizzati ed industrializzati, sono fallimentari perchè inadatti ad unire le esigenze economiche con quelle qualitative ed estetiche dell’abitare. La prima Dymaxion House è del 1927 ed è ancora oggi un modello a cui guardare per progettare la casa del futuro.
    Un pilastro centrale in alluminio conteneva le varie tubature e cablature, oltre alle strutture meccaniche cui stavano agganciate, con un sistema di tiranti, tutti gli altri elementi della struttura, come su un ponte a sospensione. Il progetto della Dymaxion House si sviluppò tra il 1927 e il 1931 guadagnando sempre maggiore efficienza energetica, auto-ventilazione, auto-regolazione della temperatura e un sistema auto-pulente. L’obiettivo di Bucky era di renderla completamente indipendente e capace di funzionare senza l’ausilio di energia o servizi da fonti esterne. Già il modello del 1928 generava da solo la sua energia, smaltiva da solo i suoi rifiuti, e aveva un sistema di comunicazione indipendente.

    La versione del 1930 fu progettata per la produzione di massa, per essere assemblata su una catena di montaggio come un’automobile, e per costare come un’automobile.

    Tra le altre caratteristiche che vennero man mano integrate c’erano anche pannelli esterni in materiale vegetale riciclato, pavimento e mobili gonfiabili, divisori pneumatici, sistemi di distribuzione del calore, specchi per diffondere la luce in tutta la casa a partire da un’unica fonte, un’area per l’orto su un balcone attorno al piano principale, e molti altri dispositivi pensati per rendere la casa più leggera ed efficiente.

    La casa venne più volte riprogettata e ridisegnata , nella ricerca di soluzioni ancora più ottimali o per adattarla a contesti diversi. In tutte le forme che assunse, la Dymaxion House mirava ad ottenere il massimo spazio con il minimo utilizzo di risorse materiali, secondo il principio di Buckminister Fuller di “fare di più con meno”, per conservare il più possibile le risorse del Pianeta. Anche quello della facilitazione del trasporto era un fattore comune a tutti i suoi progetti, così come quello della versatilità in rapporto al luogo e al clima.

    Nonostante tutte queste caratteristiche visionarie, la casa non fu mai davvero costruita; venne realizzato un prototipo nel 1948, la cosiddetta "Wichita House", poi smantellato nel 1992. Buckminster Fuller non riuscì mai a portare sul mercato le sue rivoluzionarie idee abitative, principalmente perchè non era disposto a scendere a compromessi. 

    Abbandonato forse prematuramente, il progetto Dymaxion avrebbe potuto avere un enorme successo se sviluppato in tutto il suo potenziale, perchè avrebbe risposto all'esigenza di alloggi che sorse subito dopo la Guerra. Nel 1946, il magazine Fortune scrisse che "La macchina abitativa [di Fuller] avrebbe probabilmente causato conseguenze sociali ancora più grandi di quelle generate dall'automobile".

    Tuttavia progetti e la vita di Buckminister Fuller ci danno ancora oggi energia ed ispirazione, soprattutto quando pensiamo al suo principio di "fare di più con meno". Più di tutto ci hanno insegnato a pensare; come diceva lui stesso:

    “Se vuoi insegnare alle persone un nuovo modo di pensare, non preoccuparti dell’ insegnare. Piuttosto, da’ loro uno strumento, il cui uso le conduca verso nuovi modi di pensare.”

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